Condizionato dalla poca fiducia europea ed internazionale nella situazione economica del Paese, indebolito dalle continue liti politiche che allontanano gli stessi connazionali tra di loro, e logorato dalla violenza imperante e dal razzismo.
Così si è presentato lo scenario sul quale la 69° edizione del Festival della musica italiana di Sanremo ha fatto la sua comparsa lo scorso martedì.
E allora che altro compito può avere la musica se non quello di unire, che da secoli svolge egregiamente.
E allora chi altro poteva condurre il Festival se non quel trio così insolito e allo stesso tempo così efficace.
L’edizione di quest’anno, capitanata dall’ormai noto dittatore – direttore artistico Claudio Baglioni, ha centrato l’obiettivo di rappresentare tutta la musica della galassia Italia, invitandola, e quasi costringendola, a coesistere nelle cinque serate della kermesse.
La quarta serata, quella dedicata ai duetti, ha segnato il punto massimo, il manifesto, così come lo ha definito Baglioni in un suo intervento, della forza della musica di unire e della capacità di stili diversi di fondersi.
Toccanti, alle volte crudi, molti dei testi delle ventiquattro canzoni che competono per il titolo.
Più satirici che comici i monologhi di Bisio, che ha descritto e criticato molte delle situazioni correnti e dei problemi sociali come l’immigrazione.
Virginia Raffaele, invece, ha portato in scena diversi schetck svestendosi dalle naturali vesti di imitatrice.
Solo sul finire della quinta serata sapremo chi sarà il vincitore di questa edizione del Festival di Sanremo, scelto al 50% dal televoto, al 30% dalla Sala Stampa e al 20% dalla Giuria d’Onore.
Ma la lunga notte deve ancora arrivare.
The show must go on!