Un momento preciso mi ha legata allo yoga e da una situazione di semplice curiosità mi ha convinta che tutto questo prestigio sociale, non è solo frutto di un’ondata modaiola, ma può realmente aggiungere valore alla nostra vita.
Ricordo questo momento intensamente, cioè ad un livello di profondità inusuale, cioè lo ricordo nelle mani, nella pancia, nel respiro, in una situazione fisica totalmente nuova, in una sensazione fisica di pace.
Mi riferisco a quel momento in cui senti deciso e chiaro quel “tac” nell’ingranaggio e che, nel ticchettio costante del lavoro di avvicinamento a questa disciplina, ha finalmente definito e fissato in me una consapevolezza: vi è un impareggiabile contributo con cui l’India ha arricchito il patrimonio di conoscenza dell’umanità ed io (ancora) non lo conosco abbastanza.
Questo momento è giunto dopo anni di tensioni lavorative e durante tensioni sociali tra tanti ego, per loro natura, vulnerabili, insicuri, minacciati, in costante pericolo, giudicanti, con miliardi di paure e con un bisogno compulsivo e profondamente inconsapevole di avere ragione, preservare il proprio status sociale, la propria reputazione, …
Eravamo circa 6 persone nella stanza, sedute in posizione comoda, in un ambiente timidamente illuminato e silenzioso.
Si trattava di una lezione di kundalini, forse una delle mie prime lezioni.
Non mi aspettavo nulla ma mi sentivo profondamente ricettiva.
Eravamo fermi ed avevamo da poco terminato una serie di esercizi fisici abbastanza faticosi, quanto “inusuali”, perché abbinati a tecniche di respirazione a cui non ero abituata.
L’insegnante ci invita ad abbandonare qualsiasi pensiero legato alla giornata appena trascorsa nonché ogni pensiero legato a quello che avremmo fatto dopo la lezione, e a focalizzare invece la nostra attenzione solo e soltanto sul nostro respiro.
Ci diceva frasi tipo “Presta attenzione al fluire del tuo respiro. Come lo senti? È affannoso? È calmo? Ci sono dei punti nel corpo in cui senti che il respiro non è fluido ma quasi si interrompe?”.
Già in questa esperienza preliminare mi sentivo sorpresa, era come aver appena scoperto una parte del mio corpo, appena nata, sconosciuta, di cui ho sempre ignorato le dinamiche. Il respiro.
Con gli occhi chiusi prestavo attenzione a questo elemento nuovo, ne facevo timidamente esperienza e ne coglievo le caratteristiche.
Dopotutto il respiro fluisce in automatico e non ha bisogno di attenzione per funzionare.
Eppure quell’invito a prestare attenzione al nostro respiro, ci spingeva a prenderne consapevolezza e a entrare in intimità con noi stessi e questo atto lo percepivi chiaramente come un gesto d’amore verso te stesso e (timidamente ammetto che) commuoveva.
Lo osservavo e, quindi, mi osservavo. Il respiro mi apparteneva e non era un estraneo di cui non valeva la pena curarsene.
Io fino a quel momento ero stata abituata a giornate in cui devo performare al meglio sul lavoro, prestare attenzione alla tonicità del mio corpo, al colore e al taglio dei miei capelli, al prossimo vestito da acquistare, prestare attenzione alla mia casa, guardare film, scoprire e godere di nuovi luoghi, … ma il respiro, a lui durante la giornata non ho mai pensato.
L’insegnante poi continuava dicendo frasi tipo “Se qualche pensiero interferisce con l’attenzione che stai prestando al tuo respiro, nessun problema, accoglilo, e, appena sarai pronto, riporta l’attenzione sul respiro.”
La voce così soave dell’insegnante comunicava comprensione e pazienza, proprio quello che l’esperienza in quel preciso momento richiedeva e ti conduceva con profonda tranquillità in un luogo intimo e sereno.
Man mano che l’attenzione si faceva più viva, infatti, il respiro si faceva sempre più calmo e profondo e produceva una sensazione di benessere.
Dopo qualche minuto l’insegnante proseguiva “Ora espandi la tua attenzione al tuo corpo. Come lo senti? Che sensazione hai nella pancia? nelle braccia? nelle gambe? … Come ti senti nel corpo in questo momento? Osservati.” e dopo qualche secondo di silenzio “Non ti giudicare e non ti analizzare. Solo osserva e datti la possibilità di sbagliare”.
Cosa?? Ho sentito bene?
Posso non giudicarmi e mi è concesso sbagliare?
Quest’ultima frase risuonava in me come una esplosione.
Mi sentivo finalmente in salvo.
Io mi sono sempre giudicata e sempre sono stata giudicata. O lo facevo io, o lo facevano gli altri o lo facevamo tutti insieme contemporaneamente ma mai nella vita ho avvertito assenza di giudizio.
La possibilità di sbagliare poi, neanche a parlarne.
Sul lavoro, mai ti è data la possibilità di sbagliare, anche a costo di lavorare fino a tardi, nei weekend ed annullare le mie esigenze personali. Il peso di un giudizio negativo mi è sempre stato troppo gravoso.
Era sorprendente essere finalmente in un luogo dove mi veniva detto che dovevo focalizzare l’attenzione su me stessa,sul mio respiro, osservare le sensazioni nella pancia e nelle varie parti del mio corpo, non giudicandomi ed accettandomi completamente.
Bellissimo. Davvero.
Giuro che quel contatto intimo è stato emozionante, quel sentirmi è stato profondamente commovente.
La lezione è terminata con uno shavasana (posizione supina di rilassamento), abbiamo ringraziato l’insegnante, sono andata nello spogliatoio, ho raccolto le mie cose e sono uscita dalla scuola.
Camminando verso casa, dopo la lezione, ogni mio passo era sospinto da una energia interiore tale che, tra l’altro, innescava brividi in tutto il corpo (scoprirò in seguito che questa sensazione ricorre spesso dopo ogni lezione di kundalini yoga che è meno “mainstream” ma io trovo potentissima).
L’energia del mio corpo sembrava aver invertito il suo percorso, rianimandomi nella scoperta di un mondo, fino ad allora, sconosciuto, che avevo appena iniziato a conoscere.